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La FIGC non è un organismo di diritto pubblico (Consiglio di Stato, Sez. V, 15 luglio 2021, n. 5348)

Con la sentenza 15 luglio 2021, n. 5348, la Quinta Sezione del Consiglio di Stato – cui lo scorso febbraio la C.G.U.E. aveva rinviato la dibattuta questione della natura giuridica della Federazione Italiana Giuoco Calcio – ha affermato che la F.I.G.C. non è un organismo di diritto pubblico ai sensi e per gli effetti del D.lgs. 50/2016 (c.d. Codice contratti pubblici) e della Direttiva comunitaria 2014/24/UE.

In esito a una procedura negoziata per l’affidamento dei servizi di trasporto e facchinaggio, da aggiudicarsi secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la FIGC, quale stazione appaltante, aggiudicava la procedura in favore dell’operatore economico primo classificato.

Avverso il provvedimento di aggiudicazione proponeva ricorso la Società seconda classificata lamentando, in un unico articolato motivo di gravame, la violazione degli artt. 1 e 3 del D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, dell’art. 97 Cost nonché dei principi e delle norme in materia di evidenza pubblica, avendo la FIGC, nell’espletare l’iter di gara, ritenuta di non essere assoggettata al rispetto dei vincoli in materia di gare pubbliche di cui al D.lgs. n. 50/2016.

Sia la FIGC che la Società aggiudicataria si costituivano in giudizio, preliminarmente eccependo il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e quindi contestando, nel merito, la fondatezza del gravame.

Il Giudice di prime cure accoglieva il ricorso proposto dalla Società seconda classificata statuendo che la FIGC doveva essere ricondotta al novero degli organismi di diritto pubblico, e in tale veste necessariamente applicare – in relazione alle gare d’appalto da essa poste in essere – le regole di cui al D.lgs. n. 50 del 2016.

Avverso tale pronuncia la FIGC proponeva appello censurando la configurabilità della Federazione quale organismo di diritto pubblico e la riconducibilità dell’affidamento nel novero delle attività di rilevanza pubblicistica.

Investito della causa, il Consiglio di Stato rimetteva preliminarmente alla Corte di giustizia dell’Unione europea una serie di questioni pregiudiziali ex art. 267 TFUE così riassunte: “se sulla base dei rapporti giuridici tra il C.O.N.I. e la F.I.G.C. – Federazione Italiana Giuoco Calcio il primo disponga nei confronti della seconda di un’influenza dominante alla luce dei poteri legali di riconoscimento ai fini sportivi della società, di approvazione dei bilanci annuali e di vigilanza sulla gestione e il corretto funzionamento degli organi e di commissariamento dell’ente; – se per contro tali poteri non siano sufficienti a configurare il requisito dell’influenza pubblica dominante propria dell’organismo di diritto pubblico, in ragione della qualificata partecipazione dei presidenti e dei rappresentanti delle Federazioni sportive negli organi fondamentali del Comitato olimpico”.

Il giudice eurounitario, nelle cause riunite C-155/19 e C-156/19, rispondeva a tali quesiti affermando due importanti principi di diritto: da un lato, che “…un’entità investita di compiti a carattere pubblico tassativamente definiti dal diritto nazionale può considerarsi istituita per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale, (…), quand’anche essa sia stata creata non già sotto forma di amministrazione pubblica, bensì di associazione di diritto privato, e alcune delle sue attività, per le quali essa è dotata di una capacità di autofinanziamento, non abbiano carattere pubblico…”, dall’altro, che ad un primo esame non ritiene che “…il C.O.N.I. eserciti sulle Federazioni sportive nazionali (segnatamente, sulla F.I.G.C.) quel controllo e quell’influenza richiesti ai fini della qualificazione di quest’ultime quali “organismo di diritto pubblico” ai sensi della normativa nazionale        e          comunitaria”.

La CGUE, tuttavia, rimetteva al giudice nazionale la concreta “verifica” circa la sussistenza dei presupposti che consentono di qualificare la FIGC quale organismo di diritto pubblico, e nello specifico, circa il perimetro e l’incidenza dei poteri del CONI sulla Federazione medesima.

Con la recentissima sentenza in commento, il Consiglio di Stato, nell’accogliere il gravame proposto dalla FIGC, ha concluso tale verifica con esito “negativo” dopo aver passato in rassegna tutti i poteri esercitati dal CONI sulla FIGC.

Il Consiglio di Stato, in particolare, ha mosso le proprie considerazioni dalla vigente definizione normativa, comunitaria e nazionale, di “organismo di diritto pubblico” che sussiste al ricorrere di tre presupposti quali: 1) essere dotato di personalità giuridica; 2) essere sottoposto ad influenza pubblica dominante; 3) essere istituito per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere          non            industriale      o          commerciale.

Ebbene – ha affermato il Collegio – se è indubitabile, per espressa previsione di legge, che la FIGC sia un soggetto dotato di personalità giuridica al quale sono assegnate funzioni di rilievo pubblicistico aventi carattere non industriale o commerciale, non è tuttavia ravvisabile in capo alla Federazione il requisito della sottoposizione a influenza pubblica dominante.

Invero, sulla base della documentazione in atti, il Giudice dell’appello ha statuito che i poteri di direzione e controllo del CONI nei confronti della FIGC non sono tali da imporre a quest’ultima – per la quale (a differenza della maggior parte delle Federazioni sportive nazionali) non opera il decisivo principio del finanziamento pubblico maggioritario – regole di gestione dettagliate e pervasive.

Non è infatti dato riscontrare, ha proseguito il Consiglio di Stato, che il riconoscimento della FIGC ai fini sportivi consenta, di per sé solo, al CONI di esercitare un controllo attivo sulla gestione di tale Federazione, al punto di consentirgli di influire sulle decisioni di quest’ultima in materia di appalti pubblici. Né un potere di tal genere è implicito nella possibilità di adottare nei confronti delle Federazioni sportive italiane atti di indirizzo, deliberazioni, orientamenti e istruzioni concernenti l’esercizio dell’attività sportiva disciplinata dalle stesse.

Alla luce di tali considerazioni, il Supremo Collegio ha concluso che “…la Federazione Italiana Giuoco Calcio non è riconducibile al novero degli organismi di diritto pubblico, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 3, lett. d), del d.lgs. n. 50 del 2016 ed all’art. 2, comma primo, p.to 4 della direttiva UE n. 24 del 2014…” affermando conseguentemente – in ordine alla vertenza di cui è causa – che sussiste il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, in favore di quello civile.

Con la sentenza in esame il Consiglio di Stato ha posto, quindi, la parola fine sulla natura della FIGC escludendola dal novero dei soggetti obbligati al rispetto del Codice dei contratti pubblici, ma tale esclusione non può valere de plano per le altre Federazioni nazionali per le quali – sembra suggerire il Collegio – opera il principio del finanziamento pubblico maggioritario e, parallelamente, poteri in capo al CONI più pervasivi, circostanze tutte che dovranno formare oggetto di una analisi “caso per caso”.

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