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L’adozione di una interdittiva antimafia legittima la Stazione appaltante ad escutere la garanzia definitiva (Consiglio di Stato, Sez. III, 21 giugno 2022, n. 5093)

L’adozione di un provvedimento interdittivo antimafia deve considerarsi quale evenienza addebitabile all’appaltatore: ciò in quanto – benché l’informativa antimafia possa qualificarsi come una “sopravvenienza” – i fatti che ne costituiscono il fondamento giustificativo e di cui la citata misura costituisce semplice sviluppo sono sicuramente conosciuti, o comunque conoscibili, dall’aggiudicataria. Pertanto, a fronte dell’adozione di una interdittiva antimafia, la Stazione Appaltante è legittimata ad escutere la cauzione definitiva di cui all’art. 103 del Codice, poiché quest’ultima è posta a presidio “dell’adempimento di tutte le obbligazioni del contratto e del risarcimento dei danni derivanti dall’eventuale inadempimento delle obbligazioni stesse”.

Con ricorso in appello la società aggiudicataria di un appalto di lavori impugnava la sentenza con la quale il TAR Emilia Romagna aveva respinto il proprio ricorso, avente ad oggetto la domanda di annullamento della determinazione con cui la Stazione appaltante, a fronte dell’adozione di una interdittiva antimafia nei confronti dell’aggiudicataria, aveva disposto di recedere dal contratto di appalto e di escutere la cauzione definitiva prestata dalla società.

Il Consiglio di Stato ha accolto l’appello ma solo limitatamente al profilo dell’illegittima quantificazione delle somme dovute dall’aggiudicatario alla Stazione appaltante, confermando tuttavia la legittimità della determinazione della medesima P.A. di recedere dal contratto e di incamerare la garanzia definitiva prestata dalla società aggiudicataria ai sensi dell’art. 103 del D.Lgs. n. 50/2016.

In particolare, il Consiglio di Stato ha evidenziato che l’adozione nei confronti della ditta esecutrice di un appalto pubblico di un’interdittiva antimafia comporta l’incapacità originaria del privato ad essere destinatario di un rapporto con la Pubblica Amministrazione, di talché la Stazione appaltante in tale ipotesi è tenuta a recedere dal relativo contratto, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite.

Sotto diverso profilo, il Giudice Amministrativo – ribadendo gli orientamenti già assunti dalla giurisprudenza – ha evidenziato che l’adozione di una interdittiva antimafia deve considerarsi quale evenienza addebitabile all’appaltatore che resta, pertanto, tenuto a rispondere del mancato adempimento delle prestazioni contrattualmente assunte.

Ciò in quanto, benché l’informativa antimafia possa qualificarsi come una “sopravvenienza”, i fatti che ne costituiscono il fondamento giustificativo e di cui la citata misura costituisce semplice sviluppo sono sicuramente conosciuti – o comunque conoscibili – dall’aggiudicataria, non potendo quindi considerarsi alla stregua di un caso fortuito, di un evento di forza maggiore o di un fatto del creditore.

Ne discende che è la stessa impresa attinta dall’interdittiva ad aver cagionato l’impossibilità di adempiere alle obbligazioni contrattualmente assunte: pertanto, l’adozione di una interdittiva antimafia rientra nell’ambito di operatività della garanzia offerta dalla cauzione definitiva, poiché quest’ultima, a norma dell’art. 103 del Codice, è posta a presidio “dell’adempimento di tutte le obbligazioni del contratto e del risarcimento dei danni derivanti dall’eventuale inadempimento delle obbligazioni stesse”.

Pertanto, conclude il Consiglio di Stato, la decisione della Stazione appaltante di escutere la garanza definitiva in caso di adozione di un provvedimento interdittivo antimafia nei confronti dell’esecutore di un appalto pubblico è di per sé stessa legittima, atteso che la finalità della garanzia definitiva è proprio quella di coprire la mancata esecuzione del contratto per causa imputabile all’aggiudicatario.

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